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No More Discrimination Against People with Albinism: un reportage fotografico

La fotografia è una straordinaria macchina da scrivere composta da immagini invece che da lettere, in grado di far sorgere interrogativi sulla vita, mostrare esperienze e vivificare squarci di realtà a noi lontane, forse ancora del tutto sconosciute.

E così Federico Roscioli, un cooperante di Tulime che fa della fotografia la sua arte migliore, ci fa confrontare con un mondo lontano, spesso dimenticato, di cui forse, senza il suo contributo, non avremmo mai conosciuto così a fondo.

Le immagini raccontano una realtà diversa da quella dei “safari” e degli itinerari turistici. Durante la sua permanenza in Tanzania, Federico ha potuto, con l’aiuto di altri cooperanti già presenti, documentare le condizioni di vita della persone affette da albinismo che vivono nel distretto di Kilolo, Regione di Iringa.

Albinismo è una parola derivante dal latino albus che significa “bianco”: si tratta di un’anomalia genetica che fenotipicamente si presenta attraverso la completa o parziale carenza di pigmentazione melaninica nella pelle, nell’iride e nella coroide, nei peli e nei capelli.

Tulime Onlus è impegnata dal 2012 nel progetto No More Discrimination Against People with Albinism (NMDAPA) a favore della popolazione con albinismo presente in Tanzania, in particolare nel distretto di Kilolo, nella regione di iringa. Uno degli obiettivi del progetto è quello di incentivare la conoscenza circa la condizione degli albini in Tanzania, sia in loco che in Italia, per promuovere, da una parte, l’inserimento di questi individui all’interno del tessuto sociale tanzaniano, anche attraverso l’accesso all’assistenza medica, e, dall’altra, incrementare a una maggiore consapevolezza sul tema all’interno della popolazione locale e nazionale. Sono in corso incontri e campagne di sensibilizzazione proprio sull’argomento. Inoltre sono già stati raccolti e si stanno fornendo occhiali da sole, cappelli e creme solari a chi è affetto da questa patologia.

Ecco che le immagini di Federico si trasformano in piccoli ed intensi racconti, sono una raccolta di storie di vita, ricche di gioia e speranza, ma al contempo anche cariche di violenza.

Ci auguriamo che queste fotografie siano uno degli strumenti per dar voce ad una realtà che, ad oggi, voce non ha e che siano in grado di far conoscere e, perché no, anche affezionarsi al nostro progetto No More Discrimination Against People with Albinism in cui tanto crediamo.

Mwanza, Tanzania, July 10, 201

Mwanza, Tanzania, July 10, 201

Chi è Federico Roscioli e perché la fotografia?

Chi è Federico Roscioli non lo so nemmeno io. Mi ritengo una persona curiosa e con molti interessi. Fondamentalmente è la curiosità che mi motiva. Nella fotografia ci sono nato, mio padre è un fotografo di matrimoni a Roma, quindi ho sempre avuto un rapporto con la fotografia e con la macchina fotografica. In realtà non ho mai preso in considerazione l’idea che la fotografia potesse diventare la mia professione, sia perché sarei stato in competizione con mio padre, sia perché non sono mai stato interessato alle feste o ai matrimoni.  Nel 2011/2012 ho fatto uno stage sulla post-produzione fotografica con Claudio Palmisano al 10b Photography, studio di Francesco Zizola. Arrivavano immagini di Yuri Kozirev della primavera araba, di James Natchway sullo tsunami in Giappone. Mi sono detto: “Io voglio fare questo nella vita!”. Ed eccomi qui, ci provo.

Come hai conosciuto Tulime Onlus?

Ho conosciuto Tulime Onlus tramite i racconti di Rosa, una cooperante Tulimiana che da tanti anni collabora attivamente seguendo i progetti in corso. Rosa mi raccontava di Tulime, del suo approccio alla cooperazione di comunità, dei suoi viaggi e dei progetti che vengono portati avanti con l’aiuto dei volontari e delle comunità dei villaggi adottati. Grazie alle sue parole e ai suoi racconti sentiti ed emozionanti, mi sono avvicinato, con la curiosità che mi contraddistingue, a Tulime Onlus ed ho scoperto di aver trovato una realtà interessante con la quale condividere non solo valori e principi, ma anche la possibilità di poter svolgere, come cercavo da tempo, un’esperienza in un paese Terzo.

Ilula, Tanzania, July 23, 2014

Ilula, Tanzania, July 23, 2014

L’Africa Subsahariana è una terra meravigliosa, così come la sua gente. Purtroppo però fanno spesso notizia  le problematiche che la affliggono: fame, approvvigionamento dell’acqua potabile, mancanza di un sistema socio sanitario adeguato, … Pochi conoscono invece l’albinismo, le situazioni in cui vivono le persone affette da questa malattia e che, proprio in Tanzania, questa patologia è molto diffusa. Tulime Onlus è una delle poche associazioni che si occupa di questa realtà con il progetto No more Discrimination against Albinos avviato nel 2012 a favore della popolazione albina presente in Tanzania, in particolare nel distretto di Kilolo. Anche le istituzioni sembrano non interessarsi. Conoscevi già il problema? Perché hai scelto di trattare proprio questo tema?

Mi ero informato sui progetti che Tulime Onlus aveva attivi e subito è nato il mio interesse. È una tematica di cui avevo visto delle foto e che conoscevo solo in parte. Molte delle sfaccettature di questa realtà le ho scoperte solo dopo essere stato in Tanzania. Ho provato a documentarmi ed è stato un argomento che mi ha tirato dentro da sé. Ritengo che sia una situazione di violazione dei diritti umani gravissima soprattutto per uno stato “benestante” come la Tanzania e anche molto turistico (basta pensare a Zanzibar, al Kilimanjaro e ai parchi nazionali), quindi particolarmente esposto alla cultura occidentale.

 L’Africa è un continente pieno di colori e profumi. In questo servizio fotografico non ci sono né colori né profumi. Le tue foto sono tutte in bianco e nero. E’ una scelta importante di fronte ad una malattia che vede nel colore della pelle la sua prima manifestazione. Come mai questa scelta?

Ho pensato questo lavoro in bianco e nero fin dall’inizio. Un po’ perché è effettivamente una questione di pelle bianca e di pelle nera, un po’ perché la vera foto, quella senza tempo, quella che regala più emozioni, è in bianco e nero. I colori, a volte, possono distrarre e io volevo che il messaggio fosse diretto.

Mwanza, Tanzania, July 9, 2014

Mwanza, Tanzania, July 9, 2014

Non c’è un unico soggetto protagonista e vengono rappresentate scene del vivere delle persone con albinismo completamente diverse, così come diversi sono i luoghi del loro abitare e del vivere quotidiano. Ci sono due tipi di foto: foto piene di gente e foto che invece inquadrano una sola persona, in primo piano o semplicemente perché sono dei ritratti. In queste due dimensioni sembra ci sia però un’unità molto forte. Qual è dunque la giusta lettura delle tue foto?

Il progetto nel suo insieme vuole rappresentare uno spaccato il più possibile completo della “questione albinismo” in Tanzania. Il panorama è così ampio che necessariamente doveva comprendere più persone e zone del paese. Nonostante ciò, credo che tutte queste vite siano connesse dalla discriminazione e la totale assenza di prospettive future che ci si trovi nel centro governativo di Shinyanga o a Dar Es Salaam.

Le fotografie  testimoniano una realtà che di solito si nega, una realtà di fronte alla quale molti vorrebbero voltare le spalle, come se non ci fosse … Questo reportage, se di reportage si tratta, ha un carattere di denuncia?

Ti rispondo con una citazione: Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.” (Horacio Verbitsky)

Ilula, Tanzania, July 21, 2014

Ilula, Tanzania, July 21, 2014

Gli scatti rapiscono volti e i luoghi in cui vivono le persone con albinismo, nel tentativo di rappresentare quella che è la loro condizione e i rapporti con le loro comunità. Ogni  scatto racconta una storia. Che tipo di rapporto hai avuto con i protagonisti delle tue fotografie?

Il rapporto tra persone è dato dalle aspettative di entrambi. Per questo io ci tengo a spiegare ai soggetti perché sono lì e cosa vorrei fare, quindi chiedo il permesso di scattare e poi magari scatto la prima foto dopo mezz’ora. Nel frattempo si chiacchiera, per quanto possibile con un interprete di mezzo. Ho percepito sempre speranza e comprensione nei miei confronti.

Quanto c’è di casuale in queste foto e quanto di preparato? C’è un accordo tra te e il soggetto, nel senso che tu sei al servizio del soggetto oppure aspetti il soggetto e poi scatti?

Nulla è casuale e nulla è preparato. La foto c’è sempre, bisogna solo andarsela a cercare, muoversi, guardare ed aspettare, non faccio altro.

Le fotografie che vedono protagonisti persone con albinismo sono il risultato di una serie di incontri che si sono tenuti con loro. La macchina fotografica a volte può risultare “ingombrante”, vista come una barriera tra il fotografo e il soggetto che può sentirsi a disagio o spaventato. In Africa, soprattutto una realtà come questa richiede sicuramente una certa sensibilità nell’affrontare e superare alcune barriere culturali e fisiche che si possono presentare durante l’incontro di comunità diverse. Quanto è stato, se è stato, difficile per te vedere e raccontare questa realtà?

Per me la macchina fotografica viene dopo. C’è, ce l’ho in spalla, ma posso anche non usarla, è più importante che chi mi sta davanti sia a suo agio. Oltre alla macchina fotografica, risultata a volte una barriera, c’era anche il mio colore della pelle, bianca, e quello dei miei capelli, il biondo a farmi distinguere in Africa. Le difficoltà però sono state principalmente logistiche, ma si supera tutto.

Ilula, Tanzania, July 21, 2014

Ilula, Tanzania, July 21, 2014

La prima volta in Africa. La prima volta con Tulime Onlus. Questo come ha contribuito alla definizione del tuo lavoro?

Tulime Onlus mi ha dato un aiuto enorme per ambientarmi, per sapere come muovermi, per capire dov’ero. Non avrei potuto fare lo stesso da solo. Nel villaggio di Pomerini, dove sono stato ospite a casa Tulime, è stato come essere in viaggio con gli amici, in un’atmosfera sempre serena e cordiale.

Pre Africa – Post Africa. Qualcosa è cambiato in Federico?

Si, la voglia di ripartire, anche se per una nuova meta.

Di albinismo se ne parla ancora troppo poco. La fotografia può davvero aiutare il mondo a capire realtà ancora semi sconosciute come questa? Pensi che, come fotografo, sia una tua responsabilità fornirne un’interpretazione?

Le fotografie pubblicate sui più importanti giornali del mondo hanno mosso le coscienze degli americani portando alla fine della Guerra in Vietnam. Il fotogiornalista può anche fare un lavoro impeccabile (e al momento attuale ha tutti gli strumenti a disposizione per farlo), ma se i mass media non forniscono al pubblico un’informazione completa è tutto vanificato.

Esiste un rapporto direttamente o inversamente proporzionale tra l’informazione che la fotografia ci vuole regalare e il pathos che vuole suscitare. Siamo abituati ormai a visioni pietistiche di determinati difficili argomenti e si rimane sempre più colpiti da fotografie o immagini che ci suscitano un forte e veloce impatto emotivo, ma che nel loro essere sono effimere. Esistono quindi foto dall’effetto WoW e invece i racconti di immagini. L’incontro tra informazione ed emozione e il loro equilibrio rendono diverse le fotografie. Cosa ne pensi, anche rispetto al tuo lavoro?

Io non sono mai soddisfatto delle mie foto, quindi non posso riferirmi ad esso. In generale più informazioni sono presenti in una foto e più la foto è interessante e ci fa soffermare sull’argomento. L’informazione non deve essere unilaterale, ma coinvolgere e lasciarci qualcosa dentro, che si tratta di un dato statistico, di un’immagine o di un’emozione.

E’ la società dell’immagine, bombardata da immagini. Esistono molti canali di diffusione. Ad esempio tu hai scelto il Washington Post. Qual è il tuo criterio di scelta? 

Io non ho scelto il Washington Post, ma il Washington Post ha scelto me. Ogni mio lavoro viene proposto a tutti i contatti che ho. Per questo progetto in particolare ho ricevuto risposte molto positive dalle testate estere, anche se la maggior parte aveva già trattato l’argomento, ma solo il Washington Post è stato interessato a pubblicare le foto. Per l’Italia invece vale un discorso a parte perché non c’è proprio interesse degli editori al riguardo.

Tutte le fotografie si possono visionare sul sito: http://www.washingtonpost.com/news/in-sight/wp/2014/10/06/persons-with-albinism/ e sul sito personale di Federico:  http://www.federicoroscioli.com/Persons-With-Albinism

Francesca Maria Pozzi

 
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Pubblicato da su 05/11/2014 in Uncategorized

 

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Continua il progetto per l’assistenza agli albini

casa di Benjamin Eric durante l'incontro con la provincia il giono in cui si è stabilita la collaborazione col distretto di Kilolo visita a casa di Benjamin

 
 

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Comprendere l’albinismo: imparare e insegnare – il quaderno di lezioni

Il bianco e il nero: la differenza, The Salif Keita Global Foundation Inc, Uganda ALbinos’ Association, Albinismo News, Tulime ong PRESENTANO: COMPRENDERE L’ALBINISMO. Imparare e Insegnare un quaderno di lezioni sull’albinismo

Protagonisti delle lezioni, sono 10 tra bambine/i e ragazze/i dell’Uganda Albinos’ Association.
Madina spiega. Lilian, Ivan, Robert, Innocent, Doreen, Faith, John, Andrew e Apollo pongono domande.

COMPRENDERE L’ALBINISMO, in un  contesto nuovo, quello AFRICANO. Perché?
In Africa, l’albinismo non è riconosciuto né come condizione genetica né come malattia, ma come frutto dì un DIO MALE o di un DIO BENE, per cui come MALE o BENE viene trattato fin dalla nascita tale frutto. Non è raro ma altamente diffuso. Destina chi ne “soffre” a condurre una vita di emarginazione e notevole disagio psicologico. Non viene affrontato dai governi. Non esiste se non in chi ne porta il segno: l’apparenza pallida, la pelle distrutta dal sole, gli occhi che vedono poco.
Comprendere l’albinismo: prima lezione

 
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Pubblicato da su 28/11/2012 in Dalla Terra Rossa

 

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